Nel 1993, a 27 anni, un lavoro nel mondo finanziario, la svizzera Barbara Hofmann vende tutto quello che ha per trasferirsi definitivamente in Mozambico. Decide di giocare la vita per aiutare l'infanzia martoriata di quel Paese. Dopo tre decenni, da là, continua ad aiutare i piccoli a crescere in un ambiente sano, dando loro un futuro professionale sicuro nella loro terra.
Qual è la differenza tra i bambini che vivono in occidente e quelli che crescono sulle strade dell’Africa? La risposta a questa domanda ha cambiato radicalmente la vita di Barbara Hofmann, presidente dell’organizzazione non-profit ASEM, che ha da poco festeggiato 30 anni dalla sua costituzione.
«Avevo 27 anni quando sono arrivata nella città di Beira in Mozambico», racconta Hofmann, «fino ad allora avevo lavorato nel mondo della finanza in Svizzera dove sono nata. La prima cosa che mi colpì, arrivando in Africa, fu lo sguardo dei bambini che vivevano per strada, vittime della guerra che durava nel paese da vent’anni.
Ho subito pensato che a quei bambini, rispetto ai nostri, era preclusa la possibilità di pronunciare la parola “mamma” perché erano orfani e vagavano per la città cercando di sopravvivere con espedienti di ogni genere.
Ho capito allora che un albero non può vivere se non si curano le sue radici. Ho sentito forte il bisogno di fare qualcosa per quegli orfani».
Rientrata in Svizzera, Barbara elabora un progetto per realizzare a Beira un centro per bambini abbandonati. Vende tutto quello che ha e fonda Asem Svizzera con l’intento di intervenire a favore dei bambini e giovani in situazione di disagio sociale e promuovere l’integrazione socio-economica nella famiglia o nella comunità.
«Siamo tutti uguali ciò che ci differenzia sono le opportunità», spiega la presidente ASEM, «Non avrei mai pensato di arrivare a festeggiare 30 anni di ASEM perché ho sempre vissuto giorno per giorno. All’inizio il mio unico obiettivo era trovare un piatto di zuppa per sfamare ogni singolo bambino che incontravo. Nasce così il “programma della zuppa” che dava la possibilità a oltre 300 bambini vittime della guerra di lavarsi e avere acqua per bere e un pasto al giorno. Ma c’era bisogno anche di ridargli una vita normale in un posto sicuro e stabile, riprendendo le attività scolastiche, cercando di superare i traumi della guerra per riguadagnare dignità, fiducia e stima in sé stessi».
La Hofmann riesce a ottenere un terreno dal Governo mozambicano e gli Alpini della “Julia”, arrivati dall’Italia con l’Onu, costruiscono il primo centro con edifici di pali e paglia.
«Da quei lontani giorni del 1993 sono cambiate tante cose», prosegue Hofmann, «Oggi abbiamo centri a Beira, Sofala, Gorongoza e a Vilankulo. Quattro centri educativi costruiti per la formazione professionale, la riabilitazione psicologica e il sostegno sociale. Abbiamo aiutato oltre 200 mila bambini. In questi anni ho imparato che ci sono diversi modi di vedere una situazione e ce ne sono altrettanti per risolverla. Ho imparato che niente è definitivo e che tutto è in constante trasformazione, che tutto passa e ricomincia».
Più di 700 Bambini sono stati aiutati da ASEM a riunirsi con le famiglie naturali o adottive e a reintegrarsi nella comunità locale, con l’impegno di continuare a dare un sostegno fino al completamento degli studi e di una formazione professionale.
«Fin dall’inizio» conclude «mi sono sempre battuta perché i bambini fossero aiutati in Mozambico. Non ho mai pensato di aiutare questo popolo sradicandolo dalla sua terra. Per esempio uno degli obiettivi della scuola materna è dare alle mamme-single la possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro, consapevoli che i loro figli sono in un posto dove il personale di ASEM provvede alla loro educazione oltre che alla loro sicurezza».
Oggi l’organizzazione ASEM Mozambico è gestita tutta da personale locale, con la sola eccezione di Barbara Hofmann, che svolge funzioni di coordinamento e supervisione economico-finanziaria, formazione professionale dello staff e partecipa alla riabilitazione psicologica dei bambini e dei giovani.
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